Monte Senario

Itinerario 2

"Ai piedi dell’Appennino, sul Monte degli Dei" Poggio al Sole - Montesenario - Poggio al Sole

Percorso di andata e ritorno lungo la stesso tragitto. La prima parte in gran parte in salita è una vera e propria ascensione al Montesenario ed al suo convento, antico e silenzioso custode di queste valli e punto panoramico sul Mugello, su gran parte dell’Appennino toscano e sulla campagna fiesolana e fiorentina. Un fitto bosco di conifere isola l’edificio, che si sporge solitario in vetta al monte, rendendo netto il distacco dalla dolce campagna circostante. Lo scenario è insieme mistico e incantevole, nessun viaggiatore non può non essere attratto dal raggiungerne la cima e immaginarne il panorama. L’orizzonte che troverà lo ripagherà della fatica durata.

Lunghezza: 14 km (andata+ritorno)
Dislivello in salita: 532 m (446 m sola andata).
Difficoltà: medio (per l’andata)-facile (per il ritorno).
Tempo necessario: 4-5 ore (andata+ritorno). Da considerare in più una sosta di almeno 30 minuti al monastero.
Periodo consigliato: tutto l’anno (durante periodi piovosi è probabile trovare tratti fangosi. In ogni stagione calcolare la temperatura di Montesenario inferiore a quella dell’Agriturismo Poggio al Sole di almeno 3 gradi, e la possibile presenza, soprattutto in inverno, di venti forti e freddi.)
Interesse: paesaggistico-storico.

Pagine web di approfondimento:
http://www.montesenario.net
http://www.regione.toscana.it/regione/export/RT/sitoRT/Contenuti/link/banchedatinascoste/visualizza_asset.html_659502543.html
http://www.servidimaria.org

La parte iniziale del percorso ricalca quello dell’ Itinerario 1 che riportiamo di seguito.

Lasciate alla vostra destra l’ingresso all’Agriturismo Poggio al Sole e procedete a diritto per circa 500 m. lungo Via Torre di Buiano, toponimo di antica origine, forse longobarda, che si riferisce alla torre medioevale ancora esistente e già citato in documenti del 890 come “corticella di Bujana”.
Ignorate le strade che la intersecano – la prima in discesa alla vostra sinistra la seconda in salita a destra – e costeggiate a sinistra il fienile e poi la relativa casa colonica, Podere l’Acquinvogliolino, fino ad incrociare perpendicolarmente per ultima Via dell’Acquinvogliolo e svoltate a destra, in direzione opposta alle abitazioni. Questa antica strada sembra prenda il nome dal latino acqua bulliens (acqua gorgogliante) per via di numerose sorgenti (oggi quasi non più esistenti) note fin dal tempo dei romani e da allora utilizzate per alimentare l’acquedotto fiesolano e poi quello fiorentino mediceo del XVI secolo e ancora visibile a valle.
Raggiunta Via dei Bosconi (S.P. 54) girate a sinistra e poi immediatamente prendete sul lato opposto in salita Via Catena, direzione Monteloro. Percorsi 500 m. e giunti al Passo della Catena (515 m.) prendete a sinistra il sentiero segnavia CAI colore bianco-rosso n. 2, direzione L’Alberaccio in leggera salita.

Da qui il tragitto lascia l’Itinerario 1 e si sovrappone a una parte dell’ Anello del Rinascimento (segnavia A. R.), una “passeggiata” di circa 170 km che percorre le colline intorno a Firenze e il cui centro è idealmente rappresentato dalla Cupola del Duomo di Filippo Brunelleschi. Alla vostra destra in lontananza sul versante opposto immerso in fitti castagneti il Santuario della Madonna del Sasso, nel cuore dell’ Area Naturale Protetta di Interesse Locale (ANPIL) di “Poggio Ripaghera”. Il sentiero che state percorrendo in questo tratto si sviluppa lungo il confine nord del Comune di Fiesole, che indicativamente corrisponde anche al limite del tipico paesaggio fiesolano. Di fatto i 500 m. rappresentano la soglia per la coltivazione degli ulivi, la più tipica della zona, che da qui lasciamo alle nostre spalle.

Proseguite per 500 m. e una volta costeggiato alla vostra sinistra l’abitato dell’Alberaccio e poi alla destra un cippo che ricorda l’uccisione di un partigiano, oltrepassate la strada provinciale e camminando lungo la dorsale dell’Olmo prendete il sentiero segnavia bianco-rosso del CAI n. 00 direzione M. Senario.

Appena superata un’abitazione vi troverete in uno scenario pre-appenninico dove si apre meravigliosa la vista sull’intera valle del torrente Mugnone, un vero e proprio anfiteatro naturale, chiusa da un lato dai pendii di Montereggi e Poggio Pratone e dall’altro in lontananza da Montemorello e più vicino dalle colline di Pian di San Bartolo, Basciano e Pratolino. Lungo la valle, punteggiata di case coloniche, si distribuiscono ordinati i poderi, tappezzando geometricamente il territorio. Si alternano i filari di viti e di ulivi ai boschi ed ai coltivi. Immediata è la percezione della presenza dell’uomo e del suo lavoro, eppure è un’armonia antica a riempire lo spazio, un mosaico multicolore dove si alternano, predominando a seconda della stagione, sfumature di verde, giallo e marrone. Ad interrompere le onde di un dolce mare di terre, in fondo alla valle, si elevano formando una gola e una naturale protezione della città di Firenze, il Montececeri, i “macigni” di Fiesole, e Monterinaldi e dietro di essi come per magia, il Duomo di Firenze, in prospettiva naturale il punto d’approdo, il cuore umano di questa territorio.

Lasciato il punto panoramico lo sguardo va alla nostra meta, in alto a destra, ancora tanta è la salita da fare ma altrettanti gli orizzonti che seguiranno lungo il cammino e che si muoveranno insieme a noi. In basso a destra un laghetto artificiale nascosto da rose canine e prugnoli selvatici precede l’incrocio di Vetta le Croci – il cui nome ricorda le croci che segnarono le sepolture dopo la battaglia combattuta nel 406 d. C. nella Valle del Mugnone fra le truppe romane comandate dal generale di origine germanica Flavio Stilicone e gli ostrogoti guidati da Radagasio – con la Via Faentina che attraversiamo velocemente, facendo attenzione ai mezzi che vi transitano, e che per fortuna lasciamo ben presto alle spalle. Il sentiero prosegue sul lato opposto per ampia carreggiata prima in leggera salita costeggiando una recinzione, poi dopo una svolta a sinistra, più ripidamente lungo un filare di aceri, ciliegi selvatici e pini, raggiungendo la fitta pineta di Poggio Capanne (602 m.). Alla nostra destra, sul lato opposto della valle, rilievi calcarei arrotondati da antiche erosioni, fanno da contrafforte alla Faentina, importante e antico collegamento di Firenze col Mugello, gli Appennini e quindi col nord Italia. Aggiriamo il Poggio Capanne tenendo la destra finché sempre sullo stesso lato non diparte fra fitti cespugli ma ben visibile uno stradello in discesa, al termine del quale si aprono spaziose praterie spesso battute dal vento.
A testimoniarne l’assidua presenza dista poche centinaia di metri un podere appartenuto alla Fattoria dell’Olmo – antico e tradizionale esempio di organizzazione economico-territoriale centralizzata – il cui nome è appunto La Casa del Vento. A sinistra ci accompagna lo splendido panorama su Firenze, sempre più ampio e arioso mentre alla nostra destra oltre il Mugello appaiono in lontananza le montagne dell’Appennino. Al posto del paesaggio tipico delle colline fiorentine e della mezzadria adesso predomina un ambiente aperto e adatto al pascolo. Infatti è poco più in basso in direzione di Fiesole che su un terreno di 80 ettari si sviluppa un allevamento di mucche charolaise bianche, limousine francesi e pezzate rosse italiane. Circa 60 capi che hanno recentemente popolato queste zone: puntini bianchi, chiazzati di rosso scuro e marrone. Non si tratta di un’attività tradizionale della zona, ma riporta alla memoria quando ogni mezzadro per lavorare il podere possedeva almeno due paia di buoi, e in tutta la valle, dalla presenza degli animali, si poteva capire se erano nei campi al lavoro i contadini del versante opposto.
Adesso il sentiero prosegue in piano e poi in salita (in totale per circa 1 km) fino ad incrociare la strada asfaltata, in prossimità di una croce che ricorda che qui i Sette Santi, secondo la tradizione i fondatori sia del convento di Montesenario, sia dell’Ordine dei Servi di Maria (detti anche Serviti), si fermarono a riposare il 31 maggio 1234 mentre da Firenze salivano sul monte per ritirarsi a vita eremitica. Voltiamo a destra e proseguiamo lungo la strada per circa 1,2 km fino a trovare sempre sullo stesso lato prima il sentiero segnavia Cai n. 63, che ignoriamo, e poco dopo in prossimità di un piccolo contatore, il n. 65 (o A. R., cioè Anello del Rinascimento) che invece prendiamo lasciando l’asfalto e che appena fatti 200 m. ci conduce ad una strana costruzione a forma di cupola: La ghiacciaia di Montesenario. Appartenuta ai Servi di Maria e costruita fra il 1842 e il 1844, aveva la funzione di conservare nella parte sotterranea profonda circa 12 metri il ghiaccio prelevato d’inverno dai piccoli laghi artificiali situati nelle vicinanze e che d’estate era ridotto in blocchi per essere portato di notte a Firenze utilizzando botti foderate di sughero. Lasciata la ghiacciaia alla nostra destra, per breve e ripido sentiero raggiungiamo il piazzale antistante la “Via del silenzio” o “Via Matris” (percorrendola troveremo infatti sette tabernacoli in cui sono rappresentati i “Sette dolori” della vita di Maria) che raggiunge il convento per strada sterrata, l’antica mulattiera, unico accesso transitabile prima della strada asfaltata aperta nel 1964. Inizialmente in leggera poi in ripida salita attraversiamo un fitto bosco dove difficilmente filtra la luce solare, composto principalmente da pino nero, abete bianco, douglasia, acero e castagno. Notevole per tradizione e rarità in queste zone, è il patrimonio boschivo rappresentato dall’abete bianco, frutto di un rimboschimento relativamente recente, ma di origine antica (inizio XVII secolo), opera dei monaci eremiti che qui misero a dimora l’albero caro ai Benedettini Vallombrosani, nel rispetto della ben radicata tradizione monastica che voleva questa pianta vicina più di ogni altra alla spiritualità degli Ordini religiosi. Difatti la parola potrebbe derivare dal latino attraverso l’unione di ab cioè “da”, con l’antico participio presente del verbo eo, “vado”,assumendo il significato di “vado via”. Propriamente quindi è l’albero che va dal basso in alto, verso il cielo, e quindi verso Dio.

Incrociamo quindi la chiesetta di San Martino, ricostruita nel 1946 sui ruderi di un precedente edificio, con l’adiacente cimitero dei frati e ci avviamo per l’ultimo ripido tratto di salita, che si conclude al piazzale antistante il convento fra filari di agrifogli, bellissimi durante l’inverno quando talvolta è possibile vedere le drupe di colore rosso vivo lucente contrastare col bianco della neve.
Giunti alla meta adesso possiamo posare lo zaino, girare intorno al monastero, visitare la chiesa, le piccole celle scavate nella roccia arenaria dove per alcuni anni vissero in meditazione i fondatori del convento e goderci un bicchiere di “Gemma d’abeto”, il liquore qui prodotto e venduto dai frati, ottenuto dall’infusione delle gemme di abete di altre piante officinali ed il cui tipico colore giallo è dato dallo zafferano, e soprattutto lasciamo che il silenzio ci faccia compagnia mentre osserviamo il panorama: a sud verso Fiesole e Firenze; a ovest la vallata del Carza e Carzola e in lontananza le Apuane e le Panie; a nord gli Appennini, i monti della Futa, con la strada per Bologna.

Il convento di Montesenario, al di là della tradizione che lo vuole fondato dai Sette frati verso la metà del 1200 quando si ritirarono da Firenze su questo monte per praticare la vita eremitica, ha come edificio probabilmente origini molto più remote. La sua posizione strategica, con veduta a 360° e quindi di controllo su un’area molto vasta e su antiche vie di comunicazione, lascia supporre che il convento si sia sovrapposto ad un importante castello del contado fiorentino, chiamato il Castello di Monteronzoli, citato in documenti dell’XI secolo, distrutto dalla Repubblica Fiorentina durante la sua fase di espansione nel contado a discapito dei vari signori locali, ma già esistente in queste zone in epoca longobarda, e non ancora individuato forse proprio perché castello e convento sarebbero la stessa cosa. Ma le origini si perderebbero ancora di più nel tempo ed ad aiutarci nell’esporre tale ipotesi sarà proprio l’orizzonte che troviamo di fronte a noi, guardando verso Firenze e quindi verso le colline a forma di mezzaluna di Fiesole. (Per fare ciò dobbiamo però prendere il sentiero con direzione Polcanto che diparte alla sinistra della salita finale, ora ovviamente discesa, percorrerne pochi metri e guardare fra gli abeti e un edificio che in parte ostruiscono il panorama in questa direzione).
Ancora oggi tradizionalmente l’Appennino, la “montagna”, per i fiorentini comincia a Montesenario. E’ questo luogo a segnare il confine tra le dolci colline, le valli che confluiscono nell’Arno e la catena montuosa che corre lungo l’Italia. Arrivandoci da Firenze e quindi da Fiesole ci avvolge un senso mistico, di abbandono. Lasciarlo per raggiungere la città è invece un richiamo antico e profondo verso la civiltà. Montesenario il luogo del silenzio, del freddo vento “tramontano”, è esattamente il Nord di Fiesole, dove la neve imbianca i suoi abeti e il sole tramonta dietro i monti. Provate ad andare un giorno a Fiesole e recatevi all’Area archeologica. Sedetevi su un gradino del Teatro Romano, oppure raggiungete il tempio di origine etrusca ed alzate lo sguardo: Montesenario vi apparirà all’orizzonte in alto a destra come un punto cardinale, e sarà istintivo alzare la mano per indicarlo. Nord, sud, monti, orizzonti, cioè dove cielo e terra sembrano congiungersi….

Gli etruschi di Fiesole, dagli edifici più simbolici della città, avevano una visione continua di questo monte, ed i rilievi erano per questo popolo un luogo sacro. “Eiser” o “Aiser”, in etrusco sembra significhi “dei”. Da questa parola potrebbe derivare “Senario”: Montesenario, appunto, il monte sacro degli dei etruschi.
E adesso ci è chiara l’essenza e la magia di questo luogo, la sua profonda religiosità, dove sembrano ritrovarsi nell’eterno e costante scorrere del tempo, antico e moderno, uomo dio e natura, e da sempre l’uomo con se stesso.

Itinerario e foto a cura di Giovanni Crescioli: www.FiesoleBike.it